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La nuova strategia della destra spagnola

8 Giugno 2020

Tra febbraio e giugno 2020 Vox [il nuovo partito dell’estrema destra spagnola]  ha sperimentato un cambiamento sorprendente della propria strategia politica. A dirla tutta, non ha intrapreso un cammino totalmente nuovo, ma ha di certo privilegiato un orientamento relativamente inatteso a scapito di altri. Si potrebbe dire che una delle sue anime ha prevalso sulle altre e che, tra tutte le immagini di sé che un partito si crea, si sta imponendo in Vox quella che lo investe come rappresentante preferenziale (ed esclusivo) di una certa destra.

L’8 marzo scorso, nei discorsi di Jorge Buxadé e Santiago Abascal durante il raduno organizzato a Vistalegre (intitolato Vistalegre III: l’alternativa), si percepiva la volontà di Vox di espandere il proprio elettorato e di contendere alla sinistra concetti come ecologia, sovranità alimentare, ma anche la difesa dei settori primario e secondario, la rivendicazione delle industrie strategiche o il fermo impegno per la protezione della Spagna profonda. Vale la pena di ascoltare attentamente i due interventi. Va tenuto presente che entrambi si pronunciano con la convinzione che il nostro Paese stesse andando verso un periodo di lento ma costante declino economico e di crescente importanza della geopolitica latinoamericana nel dibattito pubblico spagnolo.

In questo scenario, Vox aspirava a proiettarsi come un partito capace contemporaneamente di mostrare una certa trasversalità elettorale e di risultare centrale nelle questioni relative a quella che il partito chiama Iberosfera. Vox voleva diventare la piattaforma delle persone “che si alzano presto e hanno i calli alle mani” in opposizione al consenso benpensante dei salottieri della televisione e dei “professori universitari vanitosi” – come ha sottolineato Buxadé a Vistalegre. Allo stesso tempo, la formazione di Abascal si proponeva come il “ponte” tra la destra radicale europea e l’incipiente destra latinoamericana: da qui i crescenti contatti degli ultimi mesi tra la leadership di Vox e l’uruguaiano Guido Manini Ríos, il cileno José Antonio Kast o il peruviano Rafael López Aliaga.

Tuttavia, alla fine di maggio 2020, il panorama politico con cui abbiamo a che fare è radicalmente mutato: analizzando Vox oggi vediamo un partito intrappolato in una strategia madrileno-centrica e il cui vocabolario e repertorio di pratiche odora sorprendentemente di Venezuela. È come se il partito “ponte” si fosse allontanato da una delle sue rive. Come se l’isolamento della pandemia l’avesse confinato nei suoi stessi incubi bolivariani. Come se, a furia di tremare evocando il Venezuela, la dirigenza di Vox si fosse convinta di vivere davvero in quel paese. Ma al di là delle suggestioni, cosa è successo veramente all’estrema destra spagnola negli ultimi tre mesi?

La traiettoria iniziale  di Vox durante la pandemia

Inizialmente, la linea di Vox di fronte all’emergenza coronavirus è consistita da un lato nel manifestare un forte sostegno alla polizia  e agli operatori  sanitari cercando di aggiungere slogan patriottici ai messaggi di incoraggiamento; dall’altro nell’enfatizzare l’idea che il dilagare della pandemia dimostrasse la correttezza delle posizioni del partito su alcuni temi cardine: l’insicurezza globale, le frontiere, l’immigrazione, il protezionismo economico, l’unità nazionale, la centralizzazione delle decisioni. Il partito di Santiago Abascal era convinto all’epoca che la Covid-19 rafforzasse i suoi principi ideologici e che il vento favorevole delle idee gli permettesse di condurre la battaglia culturale contro i nazionalismi di sinistra e periferici con mezzi convenzionali

Questo punto è essenziale. Perché? Perché queste riflessioni hanno portato Vox a lanciare messaggi a favore della sanità e delle forze dell’ordine, ibridandoli con slogan patriottici. E, contemporaneamente, perché hanno posto la retorica di Abascal sulla stessa linea d’onda di quella di Marine Le Pen in Francia o di Matteo Salvini in Italia. E così, durante la settimana dall’8 al 15 marzo, i messaggi di Vox non si sono allontanati troppo dalla narrazione dominante piena di perplessità, paura, senso di irrealtà e, allo stesso tempo, appelli all’unità, alla responsabilità, all’azione collettiva e alla gratitudine nei confronti del personale sanitario.

“Medici, infermieri, assistenti, vigilantes e altro personale sanitario danno sempre una preziosa testimonianza di sacrificio, dedizione e generosità, ma il loro lavoro con i malati in queste condizioni di panico generale li rende dei veri eroi. Tutta la mia gratitudine e il mio sostegno.”

Tuttavia, passato il 15 marzo e dichiarato lo stato d’allarme, Vox ha iniziato a spostarsi verso posizioni via via più critiche, puntando il dito contro la mancanza di lungimiranza da parte del governo, l’assenza di materiale sanitario, le manifestazioni di massa permesse in occasione dell’8 marzo e l’alto numero di contagi e decessi. Le parole che acquistano maggior rilievo nel suo discorso in questo periodo sono irresponsabilità, ideologia, improvvisazione, incompetenza, cattiva gestione. La cornice permanente è quella della protezione, e il messaggio dominante è quello di additare un governo che non è in grado ad affrontare questa pandemia. Tutto il discorso politico di Vox si focalizza sull’opposizione tra la fermezza di Santiago de Abascal e il dilettantismo del governo.

“Pedro Sanchez deve fermare immediatamente Fernando Simon. Ha dimostrato di non essere utile nella gestione di questa grave crisi sanitaria, né prima né ora.

Questo “esperto” non può dare ordini agli spagnoli quando non si conforma alle raccomandazioni dell’OMS”

Ancora una volta, la narrazione adottata rispetto sia alle urgenze dettate dalla pandemia sia alla gestione del governo non si discosta troppo da quella di altri partiti europei di estrema destra, soprattutto quelli dell’area mediterranea. Infatti, più o meno nello stesso periodo Marine Le Pen accusava il primo ministro francese di “mentire”, di “esporre incautamente gli operatori sanitari”, di “non effettuare sufficienti test”, di “permettere un’allarmante mancanza di mascherine” e, in generale, di aver dato una risposta “tardiva” e “inadeguata” alla crisi della Covid-19, impiegando cioè una retorica molto simile a quella di Vox e stabilendo intelaiature discorsive praticamente identiche. Da parte sua, Matteo Salvini ha mantenuto e mantiene tutt’ora una posizione intransigente verso il governo italiano dal punto di vista della tutela della salute e della sicurezza della popolazione, anche se il tono delle sue dichiarazioni pubbliche in quelle settimane è stato meno incisivo di quello dei suoi partiti fratelli in Francia o in Spagna.

“Ci sono milioni di francesi che hanno la sensazione il governo gli stia mentendo, mi dispiace dirlo in modo così brutale. La sensazione di non avere accesso a informazioni sicure contribuisce all’angoscia dei francesi #COVID19 #maschere”

“Per quanto ancora il governo prenderà in giro i francesi? Il popolo ha diritto alla VERITÀ. Dite che le #mascherine sono probabilmente inutili perché non ce ne sono abbastanza! MLP”

“Siamo lenti a chiudere le frontiere per motivi ideologici. Sì, ed è molto grave! La perdita di speranza per migliaia di pazienti è anche una delle conseguenze di questa scelta ideologica! MLP. #Covid19#”

La metamorfosi di Vox rispetto alle altre formazioni della destra radicale europea comincia nell’ultima settimana di marzo, quando alle critiche rivolte alla gestione della crisi da parte dell’esecutivo aggiunge per la prima volta la richiesta di dimissioni in blocco del governo. È qui che il partito di Santiago Abascal inizia l’escalation destituente che lo porta in questi giorni a organizzare caceroladas [forma di protesta che prevede di sbattere rumorosamente pentole e stoviglie N.d.T.] in nome della libertà e a lavorare aggressivamente su più fronti per la caduta del governo di coalizione. Ma l’alibi all’inizio di questa deriva aggressiva è, non dimentichiamolo, la cattiva gestione dell’emergenza, cioè l’idea che – considerando i dati relativi ai decessi per Covid-19 rispetto alla popolazione – gli spagnoli stiano pagando con la vita le decisioni dell’esecutivo più incapace d’Europa. La cornice in cui si iscrive il discorso di Vox unisce il dolore e la rabbia destituente; vale a dire, la simbologia dei lacci neri con la promozione di campagne social  profondamente viscerali come #PedroElSepulturero, #CulpablePedroSánchez, #SánchezAPrisión o #PodemosCiao.

Il ragionamento implicito in questa fase è grossomodo il seguente: l’eccezionalità della cattiva gestione spagnola giustifica l’eccezionalità della critica. In altre parole, la natura incomparabilmente negligente e disastrosa dell’esecutivo spagnolo legittima una risposta che si allontana man mano da quelle del resto della destra radicale continentale. Il “peggior governo d’Europa” non può aspirare a nulla di più da un’opposizione responsabile.

Perché si verifica la svolta ipercritica nella comunicazione del partito?

Alle ragioni di cui sopra bisogna aggiungerne un’altra di grande peso: a questo punto Vox è sicuro che la battaglia ideologica della pandemia la stia vincendo la sinistra. Questa convinzione non solo preoccupa profondamente il partito, ma fa risorgere il suo ruolo di sentinella ideologica della destra. Mosso dalle pressioni di alcuni ambienti economici e mediatici di Madrid, Vox riporta alla ribalta la sua immagine di barriera contro la sinistra, facendo rivivere la natura di avanguardia politico-civile contro il governo “social-comunista”. E così, intona il suo particolarissimo “No pasarán“.

Il timore – o meglio, il terrore – è che Pedro Sánchez si perpetui al potere con le idee di Iglesias. Per questo Vox intensifica la sua strategia di opposizione. Si venezuelizza , per così dire. In primo luogo, scommette sulla rottura della narrazione e delle pratiche che puntano all’idea di coesione nazionale: gli applausi delle ore 20 e le campagne come #EsteVirusLoParamosUnidos. Questo impulso sovversivo inizia con l’appello a suonare l’inno nazionale a mezzogiorno durante la quarantena, continua con la prima manifestazione “online” dell’8 aprile per chiedere le dimissioni del governo, si prolunga con la convocazione quotidiana a protestare con pentole e padelle in segno di sdegno per la deriva autoritaria dell’esecutivo, e culmina con il sostegno ai raduni nel distretto di Salamanca [Madrid] che chiedono “libertà” e la fine del confinamento.

Questa svolta coincide anche con l’adozione da parte di Vox di un lessico molto simile a quello usato dall’opposizione in Venezuela. La formazione di Santiago Abascal inizia in questo momento a parlare di “governo totalitario”, “dittatura”, “genocidio”, “gulag”, “comunismo”, “morte”, e a usare espressioni come “mancanza di libertà” o “Aló Presidente” [dal nome delle allocuzioni televisive che teneva settimanalmente Hugo Chávez N.d.T.]. Oltre a questo, il partito inizia a sostenere tutta una serie di giornalisti e programmi audiovisivi come Estado de Alarma [Stato di Allarme N.d.T.] che dispiegano la retorica di vivere ormai sotto dittatura o, quanto meno, di trovarsi in una china accelerata verso l’autoritarismo. Giornalisti e invitati d’area parlano, mettono in scena azioni, proteste, intrighi e vittimismi come se vivessero in una dittatura.

Così, la venezuelanizzazione è la forma che assume la disputa ideologica di sfondo. È la strategia difensiva adottata da una parte di quello che in Francia chiamano “la destra del denaro” e che ha oggi in Vox il suo principale rappresentante in Spagna. Questa pressione non solo favorisce l’anima più neo-con del partito – a scapito di altre sensibilità o scommesse strategiche – rendendolo il favorito di alcune élite della capitale, ma semina anche dubbi all’interno dei vertici del Partito Popolare su quale percorso di opposizione intraprendere. Vertici che – non dimentichiamolo – vivono a Madrid.

Questa svolta ipercritica funziona?

La risposta a questa domanda è probabilmente “dipende da quale sia la meta”. Se l’obiettivo di Vox è quello di diventare una forza politica nazionalista e identitaria capace di convincere una parte dell’elettorato conservatore – quello che Alain de Benoist chiama “della destra dei valori” – attirando al contempo una parte dei settori popolari meno ideologizzati e anche ex elettori di sinistra, allora questa messa in scena a là Caracas è una pessima idea. Lo è, tra le altre cose, perché si tratta di una strategia di nicchia, che infiamma chi è già convinto ma non avvicina nuovi elettori. Questa strategia implica una retorica iperbolica e piena di epica che provoca un effetto bolla e porta a comportamenti eccessivi. È, insomma, il tipico discorso surriscaldato e psicologicamente confortante di cui si dota una forza di resistenza prima di disporsi allo schianto.

Al contrario, se lo scopo è quello di lottare per l’egemonia ideologica della destra e influenzare l’indirizzo politico del Partito Popolare, allora emulare l’opposizione anti-Chávez può avere un senso. In altre parole, se – come dice Alejo Vidal-Quadras – l’obiettivo principale di Vox è quello di diventare il “vero PP” o almeno condizionare e disciplinare il Partito Popolare affinché non si muova dal suo reliquario assiologico madrileno, allora il corso attuale può finire per dare i suoi frutti. Non solo in termini metapolitici o culturali, ma anche consolidando il 15% accreditato dagli ultimi sondaggi. Non dimentichiamo che in Francia Jean-Marie Le Pen si è creato una nicchia politica, mediatica ed elettorale opponendosi al governo “social-comunista” di François Mitterrand e ai suoi quattro ministri del Partito Comunista Francese tra il 1981 e il 1984.

In un futuro a breve e medio termine di intensa polarizzazione politica tra blocchi chiusi in continuo scontro, Vox sembra scommettere sulla seconda opzione, puntando a diventare l’avanguardia della destra spagnola. Anche se questo significa ricorrere a iperboli di tipo venezuelano. O, meglio ancora, facendo in modo che ciò comporti iperbole di tipo venezuelano. Perché ciò che è fondamentale – secondo Vox – si contende nel campo dell’ideologia.

Resta da capire se questa strategia di venezuelanizzazione sia compresa al di là dei cenacoli di Madrid e della sociologia specifica della regione; cioè se gli stessi elettori di Vox – quelli del novembre 2019, non solo quelli di aprile – capiscano questo percorso distintamente di destra quando ad essere in gioco non c’è più “la sfida separatista”, ma la gestione di un’emergenza sanitaria e la risposta a una crisi economica. E qui forse non è irragionevole pensare che l’effetto “bolla di Salamanca” stia causando qualche allucinazione.

Da la-u.org 28. 5. 2020.Traduzione a cura di Lorenzo Tecleme.

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