Esteri | Mondo

Il sogno tradito di Muhammad

20 Aprile 2020
ALEPPO 2011 – ultimo giorno di Ramadan 

“Ho sentito parlare un mio caro amico, che conosce bene le mie idee politiche, di una manifestazione. Naturalmente mi ha contattato su Internet in modo indiretto, perché i cellulari sono spiati dall’intelligence.

Questa è stata la prima e l’ultima volta che ho partecipato alla preghiera Tarawih (preghiera che si tiene durante il Ramadan quando cala il sole) nelle moschee e vede la partecipazione di  tutti i musulmani, in tutto il mondo. Ci siamo incontrati prima dell’inizio della preghiera e siamo andati alla moschea con un gruppo di ragazzi che non avevo mai incontrato prima. Noi, per scherzo, ci siamo salutati così:” Ciao infiltrati” parafrasando una dichiarazione del dittatore e dei suoi media che parlano dei manifestanti come se fossero gente di un altro Paese. Non ci presentiamo a vicenda cosicché, nel caso qualcuno sia catturato, non potrà parlare degli altri.

Siamo andati in una certa moschea, come previsto da un altro gruppo anonimo, in una zona molto ricca, in cui la gente non penserebbe mai di dimostrare e di perdere la vita per banalità come la dignità e la libertà della Siria; ma almeno non ci attaccherebbe, come purtroppo era già accaduto nelle zone povere.

Siamo entrati nella moschea ed era chiaro che c’era un numero insolitamente elevato di giovani. Ognuno guardava le persone che aveva accanto e allargava poi lo sguardo su tutta la moschea. È stata una grande gioia vedere centinaia di giovani pronti a rischiare la vita per il bene della Siria, di sé stessi e delle loro famiglie, ma anche delle altre persone che non hanno mai incontrato. Le persone più religiose di Aleppo sono contro la rivoluzione; in altre parole sono pro-tirannia e talvolta lavorano per l’intelligence. È stato chiaro che l’imam prolungasse la preghiera in modo che la Shabbiha (le milizie civili filo-Assad) avrebbe fatto il suo ingresso in scena, prima dell’inizio della dimostrazione, che era prevista in tutta la Siria, al termine della preghiera.

Una volta che la preghiera è terminata, siamo usciti per ultimi e abbiamo fatto un giro per controllare l’area intorno alla moschea. Non siamo stati sorpresi dalla presenza di due macchine della polizia (bianche e verdi, 4×4) e due macchine della famosa intelligence. Ho sussurrato al mio amico in inglese “Inferno sono qui!”, non ho avuto risposta; abbiamo camminato tra la folla e ci siamo riuniti nell’angolo della piazza, di fronte alla moschea.

Tutti si chiedevano chi avrebbe dovuto iniziare la dimostrazione e se effettivamente ci sarebbe stata. Improvvisamente un giovane ragazzo ha urlato: ”Allah Akbar” (Dio è il più grande) che era la frase concordata per dare inizio alla protesta. Abbiamo cominciato a marciare pacificamente nella direzione opposta alle vetture della sicurezza. È stata una dimostrazione di giovani di età compresa tra i 20 e i 30 anni, tutti vestiti elegantemente, educati e di famiglie rispettabili. Le famiglie molto ricche della moschea ci osservavano attentamente. Mentre marciavo ho riconosciuto un paio di persone che avevo visto all’università. Non avevamo cartelli, né bandiere, né tantomeno bastoni, che qualcuno aveva portato in altre piazze della Siria, per difendersi dagli attacchi brutali delle milizie filo-Assad, che sono sempre dotate di coltelli da macellaio e spranghe, oltreché di spade e catene. 

Le nostre uniche armi erano le nostre voci libere e gli obiettivi sublimi.

Nonostante la presenza della sicurezza che rendeva il clima molto pesante, abbiamo iniziato a cantare i vari slogan, famosi, della rivoluzione siriana come: “Hurriya, ya Hama, Halab, ma‘aki lalMoot [Hama, Aleppo è con voi per la morte], essuri yerfa ‘ido … Basher ma menrido [siriani alzate le mani, non vogliamo Bashar], Ibn al-Haram … baa eljulan [che ha… venduto il Golan], Wahid Wahid Wahid… eshaab essuri Wahid [uno, uno, uno… i siriani sono uniti], e il ashaab yurid isqat el-Nizam [la gente vuole rovesciare il regime]. Mi guardavo intorno e vedevo uomini coraggiosi, volti sinceri, promettenti, tutti aspiranti ad un futuro migliore. Dopo meno di 10 minuti,teppisti e criminali hanno iniziato a darci la caccia con catene manganelli e bastoni elettrici.
Quattro mesi prima, il dittatore aveva liberato tutti i criminali dalle carceri per usarli contro le proteste. 

Uno di noi ha fatto un fischio acuto e, per noi, è stato il segno per disperderci immediatamente nelle diverse strade. Ho camminato con il mio amico, cambiando continuamente strada per sfuggire alla polizia e ai teppisti (ex carcerati).

Essere libero di dire quello che vuoi è una sensazione meravigliosa che le parole non possono descrivere; quella è stata la prima volta che ho gridato con forza in strada quello che profondamente volevo dire, dopo 27 anni di paura paralizzante (la mia età) per i 13 rami di intelligence, le loro prigioni sotterranee e buie, sovraffollate. Io ed il mio amico ci siamo stretti la mano con fermezza e ci siamo guardati negli occhi, sorridendo trionfanti.

Mi chiedevo che sensazioni avremmo goduto quando saremmo stati in grado di deporre il dittatore e sciogliere tutti i suoi apparati di morte, tra cui al-Ba’ath.

 Dopo un paio di minuti, la nostra gioia aveva già fine ed era stata sostituita da una scena di terrore letale: un piccolo camion della polizia, pieno di teppisti soldati si era fermato vicino a noi ed una persona, dal suo interno, ha urlato ad un altro che è sceso “ Portami quello con la maglia bianca”. Ero io, avevo una maglia bianca, mentre l’uomo che doveva catturarmi aveva un maglione nero e pantaloni militari, portava un bastone pesante nella mano sinistra. Mi è sembrato il famoso personaggio dei cartoni animati Hulk. 

Istintivamente, ho urlato “aala’a mali” (io non sono coinvolto) e ho cominciato a scappare. Sapevo che, nel caso egli fosse stato in grado di raggiungermi, il mio maglione bianco sarebbe diventato rosso e la mia pelle pallida… blu scuro… Mi ricordo che sono letteralmente saltato al di là di un’automobile e poi ho attraversato sbadatamente un’autostrada a quattro corsie dove passavano camion e autobus veloci. Ho continuato a correre più forte che potevo per quasi un chilometro, di tanto in tanto mi voltavo per vedere dove si trovava l’uomo che mi stava inseguendo. Ogni volta notavo che la distanza tra noi si ingrandiva a mio favore, ho corso ancora, fino a quando non l’ho più visto. 

La mia agilità mi ha permesso di mettermi in salvo. Mi sono sentito completamente senza fiato. Avevo paura che, le persone che ho incontrato, potessero riferire di me agli agenti di Assad, era evidente che ansimassi e fossi completamente esausto.

Ho camminato ancora per quaranta metri, cercando di riprendere fiato. Chiesi a due ragazzi giovani che camminavano nella direzione opposta alla mia, se qualcuno mi stesse inseguendo. ”La” (no), hanno sussurrato, una parola che non richiede movimenti delle labbra, per essere pronunciata. Ho attraversato un’altra strada e mi sono sentito un po’ più sicuro.

 Di punto in bianco una macchina blu scuro mi si è avvicinata. Ne è uscito un capitano con un manganello in mano, per indurre scosse elettriche. “Aandak”(fermati qui) , ha urlato. Ho percorso il metro che mi separava da lui. Non ho pensato di fuggire di nuovo, ero logorato, mi avrebbe raggiunto e mi avrebbe colpito col suo manganello ed io sarei stato paralizzato. Pertanto ho pensato che la mia unica possibilità  fosse di comportarmi in modo normale, facendo finta di non essere coinvolto nella protesta.

Egli mi ha chiesto il documento di identità e lo ha tenuto con sé. Mi ha invitato nella sua auto, io stesso ho aperto la porta e mi sono seduto accanto a lui, perché era da solo. Il fatto che fosse da solo era per me l’unica ragione di relativa tranquillità, doveva guidare, quindi non poteva torturarmi, cosa che accadeva nei pulmini dove, gli uomini della Shabbiha, bendavano le persone ammanettate e le sottoponevano ad ogni tipo di tortura fisica e psicologica.

Una volta entrato in macchina, mi sono venute alla mente le immagini dei corpi di Hamza (un ragazzo di 14 anni torturato e ucciso dalla sicurezza di Assad ) e di Qashush, la famosa cantante rivoluzionaria di Hama, cui sono state strappate le corde vocali, e con terrore, mi sono chiesto se sarei finito come loro.

Il capitano, facendo marcia indietro, esaminava il mio documento e i miei pensieri sono stati sopraffatti da una serie affannosa di domande:” Stavi protestando? Come ti chiami? Quanti anni hai? Come si chiama tuo padre? Dove abiti?” E poi di nuovo:” Stavi protestando?” Io ho totalmente negato.” Dove hai pregato?” mi ha chiesto dopo, al che io ho risposto che non prego e che qualsiasi dei miei amici avrebbe potuto confermarlo.

 “Con quale dei tuoi amici sei venuto a protestare?” “ Io non ho partecipato ad alcuna protesta” ho risposto, ma lui cercava di prendermi in fallo. ” Come avete organizzato la protesta?. Come sei venuto a conoscenza della protesta? Perché protestate?” Ho risposto, con aria di sfida che non ero né con il governo, né con i manifestanti. Ho dovuto esprimermi in modo fermo e sicuro, ho detto che mi trovavo lì semplicemente per passeggiare, quando un soldato, (per paura di riferirmi a lui come ad uno shabbih) era saltato fuori dall’automobile e la mia reazione, come quella di un qualsiasi altro essere umano, era stata quella di scappare, per salvare la mia anima dal suo pesante bastone, che come lui non distingue un manifestante da un passante, non fa differenza tra un volto e una spalla; un naso  ed un occhio.

Poco tempo prima, davanti alla moschea, avevo creduto che la storia sarebbe cambiata ed invece ero con una persona che mi minacciava “abbiamo arrestato molti ragazzi! Se qualcuno farà il tuo nome per te saranno guai” Prima di uscire dall’auto, mentre lui mi porgeva il mio documento, gli ho detto di riferire ai ragazzi (intendendo poliziotti e teppisti) di non arrestare chiunque si trovi per strada, quando ci sono delle proteste, perché centinaia di persone potrebbero trovarsi lì per caso. 

Lui ha annuito, come per dire non ti preoccupare, ma poi ha aggiunto ”È meglio che vai, prima che cambi idea su di te”.

La zona in cui sono stato lasciato era piena di shabbiha, ho dovuto camminare tra teppisti poliziotti e uomini dell’intelligence, alcuni di loro cercavano sotto le macchine parcheggiate, altri nei bidoni e nei sacchi per la spazzatura.

 Mentre camminavo avevo più paura di prima, in molti mi avevano visto scappare e potevano fermarmi ancora una volta. La ragione ha prevalso e ho cercato di stare calmo e camminare come se mi stessi godendo la passeggiata.

Quando finalmente sono arrivato in una zona tranquilla, ho mandato un messaggio al mio amico per dirgli che ero al sicuro e sincerarmi che anche lui lo fosse.

Ci siamo incontrati con altri amici, a qualche chilometro di distanza, è stata una grande gioia sentirsi al sicuro con loro. Siamo andati in un caffè per giocare a carte, bere qualcosa e fumare il narghilè. È stato un sistema per affrancarsi dalla tensione, in modo che, al mio ritorno, la mia famiglia non si fosse accorta di nulla. Quello che posso dire è che quella notte non ho chiuso occhio e ho avuto i muscoli dolenti almeno per altri tre giorni a causa di quella folle corsa ”.

Questa è la storia di Muhammad Najjar, ex professore di inglese all’Università di Aleppo. Da quando ha lasciato la Siria, nell’ottobre 2012, lavora per agenzie umanitarie e di sviluppo internazionali.

La guerra siriana ha prodotto, secondo The Syrian Network For Human Rights, più di mezzo milione di morti.
Gli sfollati sono diversi milioni, di cui, circa quattro milioni si trovano in Turchia.
I profughi sono  diventati merce di scambio:
prima, ospitati in Turchia in cambio di tre miliardi pagati dall’Europa, per chiudere i confini  ed evitare il loro ingresso nel Vecchio Continente, attraverso “la via dei Balcani”
oggi, spinti in Europa, attraverso la Grecia  col probabile intento di:

  •  rafforzare le posizioni della Turchia al Tavolo dei negoziati sulla Siria ed  estenderne i confini fino all’Eufrate, col pretesto di trovare una zona in cui collocare i vari milioni di rifugiati siriani presenti sul territorio turco.
  • sollecitare un intervento dell’Unione Europea a favore delle posizioni del Sultano (Erdogan).

In tal modo la Turchia impedirebbe la costituzione di un Kurdistan siriano e, al regime di Assad ( forte della collaborazione di Russia ed Iran) di riconquistare tutto il territorio appartenuto alla Siria prima della guerra; cosa che sta già avvenendo e, nella Regione di Idlib, ha visto perire varie decine di soldati turchi sotto gli attacchi del regime siriano.

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