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Perché Sanders non ce l’ha fatta

11 Marzo 2020

L’avventura di Bernie Sanders candidato presidente purtroppo è finita. Il senatore del Vermont continuerà a fare campagna per le prossime primarie in Arizona, Florida, Ohio e altri stati. Ma dopo il verdetto negativo delle primarie in Michigan, Washington, Mississippi, Missouri, Washington, Idaho, e North Dakota, in cui Biden ha vinto in Michigan che veniva dato in bilico, la matematica elettorale è tutta schiacciata a favore dell’ex vice-presidente che conta anche del supporto del partito democratico e del sostegno finanziario di miliardari e grandi compagnie. Il rispettato sito di sondaggi FiveThirtyEight dà la probabilità della vittoria di Biden al 99%. Così la grande speranza di una risposta populista di stampo socialista alla lunga crisi del neoliberismo sembra essere al capolinea. Dopo il fallimento del tentativo di Jeremy Corbyn nelle elezioni britanniche vinte da Johnson la sconfitta di Sanders sembra segnare la chiusura di una finestra di opportunità. E così sarà percepita da molti attivisti in giro per il mondo. Ma questo non significa certo che bisogna abbandonarsi alla disperazione né che questa sia la fine definitiva dell’ondata populista di sinistra. Piuttosto è necessario capire cosa è andato storto per poter tornare all’attacco. La sconfitta di Sanders solleva importanti questioni strategiche per la nuova sinistra sorta a partire dalla crisi economica. Perché nonostante la popolarità di diverse proposte di Sanders, a partire dalla proposta della sanità pubblica (Medicare for All), Sanders non è riuscito a vincere la nomination? Perché fino ad ora la strategia populista ha favorito i candidati di destra? Qual è il tassello mancante nel tentativo di costruire un’alternativa progressista a un neoliberismo agonizzante?

Molti giovani pro-Sanders, ma pochi giovani a votare

La prima spiegazione ha a che fare con la coalizione elettorale costruita da Sanders, e il suo forte carattere giovanile. In California circa il 60% dei giovani (sotto i 30 anni) ha votato per Sanders. E in Michigan, secondo gli exit polls il dato è addirittura dell’80%. Vediamo una tendenza simile a quella vista con Corbyn in Gran Bretagna, in cui l’età è il dato demografico che è più predittivo del comportamento elettorale. Anche perché l’elettorato giovanile è quello che tende a vivere più acutamente i problemi sociali a cui risponde il programma di Bernie Sanders e a nutrire una forte rabbia verso i miliardari che vengno accusati di avere rubato il futuro. Tuttavia questo elettorato giovanile non si è mobilitato a sufficienza per contrastare il voto dei più anziani fortemente schiacciato su Joe Biden. Ad esempio nel SuperTuesday solo 1 elettore su 8 aveva tra i 18 e i 29 anni, ma due terzi dell’elettorato avevano più di 45 anni. Insomma, il forte voto giovanile a sinistra può essere una buona promessa per il futuro. Ma per il momento, a causa della piramide demografica poco favorevole ai giovani, e la loro riluttanza alla partecipazione politica, una strategia tutta incentrata sul voto giovanile è controproducente. Biden è riuscito a coalizzare l’elettorato più anziano identificato con il movimento Resistance contro Trumo, convincendolo di essere l’unica opzione assennata per impedire un secondo mandato. Questo pone la sfida di come trovare modi per convincere un elettorato più anziano e che spesso pensa di avere più da perdere in un cambiamento degli equilibri politici e sociali, e che spesso è più spaventato della destra, e disposto a tutti pur di evitarne la vittoria, di quanto sia preoccupato dei temi sociali.

La demonizzazione mediatica di Sanders

La seconda spiegazione, che in parte ha a che fare con la prima, è il modo in cui una parte dell’elettorato Dem ha finito per percepire Sanders come un candidato troppo radicale, e con bassa “eleggibilità” nella sfida contro Trump. Questa percezione contrasta con diversi sondaggi che mettono in luce come Sanders sarebbe stato più competitivo di Biden nello scontro contro Trump. Molti, anche tra i moderati del partito Dem, sono coscienti che Biden è un cavallo azzoppato, per le sue numerose gaffe, per le tante bugie raccontate durante la sua lunga storia politica, e per la sua scarsa capacità dialettica. Trump gli ha già affibbiato il nomignolo “Sleepy Joe” (Joe sonnolento) per ridicolizzare il suo stato confusionario, che alcuni imputano a demenza senile. Tuttavia anche di fronte a questa evidente debolezza, l’establishment ha fatto di tutto per mettere Sanders fuori gioco. L’attacco costante dei media americani è riuscita a demonizzare Sanders, e ha presentarlo come un candidato pericoloso, che avrebbe portato gli Stati Uniti all’autoritarismo. La stessa accusa rivolta simmetricamente a Trump dall’establishment liberal. Insomma, è riuscito il tentativo di dipingere Sanders come un nuovo Trump socialista, e in questo modo a spaventare gli elettori più moderati e più anziani. Come notano alcuni, forse Sanders avrebbe dovuto invertire il procedimento classico dei candidati alle primarie, ovvero adottare una posizione radicale nelle primarie e una posizione più moderata durante le presidenziali. Avrebbe dovuto cercare di moderare il suo messaggio durante le primarie rispetto al 2016, e poi andare all’attacco nel momento del faccia-a-faccia con Trump. Forse, aveva ragione Paul Krugman, premio Nobel per l’economia e opinionista del New York Times a dire che Sanders avrebbe dovuto evitare di insistere troppo sul presentarsi come un candidato socialista, anche visto il fatto che molte sue proposte sono di fatto social-democratiche. Questo per riuscire a sopire il sospetto nutrito da molti elettori democratici verso di lui, accusato da alcuni di essere un intruso nel partito democratico, dato il suo status di candidato indipendente, e verso le sue proposte socialiste.

La forza del popolo scorre forte in te. Ma non abbastanza

La terza spiegazione ha infine a che fare con l’immaturità delle condizioni organizzative, o il livello del potere popolare, il potere delle persone rispetto al potere dei soldi, per riuscire a imprimere un cambiamento profondo come quello voluto da Sanders. Se le proposte prioritarie di Sanders come sanità pubblica e università gratuita sono senso comune, o quanto meno lo erano in molti paesi europei, continuano a essere percepite come radicali negli Stati Uniti. E la loro attuazione dovrebbe superare l’opposizione di forze molto potenti e strutturate a partire da quelle del grande capitale americano, e in particolare quello nel settore medico e farmaceutico. In altre parole il livello di organizzazione, o di potere popolare è inadeguato rispetto alla radicalità relativa delle proposte. Come ha sostenuto l’attivista britannico Callum Cant per spiegare la sconfitta di Corbyn “non è che abbiamo sostenuto politiche di nazionalizzazione che erano troppo estreme per essere sostenute dalla classe lavoratrice britannica. Invece, è un divario organizzativo: abbiamo proposto un programma che si basava su livelli di organizzazione della classe lavoratrice che non esistono ancora”. Negli Stati Uniti, siamo in un momento storico di alta debolezza delle organizzazioni sindacali, con il più basso livello di densità sindacale nella storia recente del paese. Basta paragonare la debolezza delle organizzazioni popolari rispetto alla forza del grande capitale che finanzia candidati a lui favorevoli, il potere delle persone al potere dei soldi, molti elettori si devono essere chiesti come sarebbe riuscito Sanders a imporre il suo programma, di fronte alla resistenza compatta dell’establishment.

Populismo pro-establisment e anti-establishment

Questo spiega perché il populismo di Trump ha prevalso sul populismo di Sanders. Perché il populismo di Trump ha un piede, anzi due, nell’establishment. Nonostante il tono dirompente della sua retorica, Trump di fatto propone e ha portato a compimento cambiamenti che sono compatibili con il mantenimento dell’ordine capitalista. Una vittoria di Sanders avrebbe invece comportato un cambiamento molto più radicale degli equilibri politici e sociali degli Stati Uniti. Un cambiamento che molti elettori moderati hanno ritenuto inverosimile. Di fatto, è apparso chiaramente durante questa campagna, che per buona dell’establishment Dem e del suo elettorato moderato, una rielezione di Trump sarebbe stata uno scenario più rassicurante della vittoria di Sanders. La conclusione che deriva da questa analisi è che se si vuole ribaltare gli equilibri, e a costruire un populismo socialista, bisogna adottare un attitudine di brutale realismo rispetto ai rapporti di forza esistenti nella società. Un populismo di sinistra ha una strada molto più difficile rispetto a un populismo di destra con un piede nell’establishment. Solo costruendo organizzazioni politiche solide e riattivando le organizzazioni sociali come i sindacati che in questo momento sono fortemente indebolite è possibile invertire la rotta. Il carisma politico e l’enorme generosità visto nella campagna di Sanders è fondamentale, ma non è sufficiente per un compito così ambizioso come far diventare il paese portabandiera del capitalismo in un paese socialista. E questo vale non solo per gli Stati Uniti ma anche per molti paesi europei in cui possiamo stare certi, che la battaglia tra popolo da un lato e establishment e miliardari dall’altro che è andato in scena oltre oceano continuerà a essere al centro dell’arena politica.

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