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Trump Vs Xi. Chi detta le regole del gioco?

18 Aprile 2020

La geopolitica è spesso descritta come una partita a scacchi. Oggi i giocatori principali sono il Presidente USA Donald Trump e il Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping. Di solito si ritiene che lo scopo di un gioco sia vincere; ma il “gioco” è una realtà molto più complessa di quanto si pensi. Prima di tutto ci sono delle regole; se queste regole favoriscono uno dei due giocatori, questi è facilitato per la vittoria. Ma, soprattutto, spesso il risultato migliore per un giocatore non è la vittoria definitiva, quanto piuttosto il protrarsi del gioco in un equilibrio. Le regole poste dal giocatore dominante, quindi, non mirano a farlo semplicemente vincere; esse sono fatte perché il gioco non finisca.

Trump e Xi parlano due lingue differenti, provengono da due Paesi differenti e ragionano in maniera differente. La loro Weltanschauung – visione del mondo – è radicalmente differente. Eppure si sono incontrati, dialogano, interagiscono in una partita. Come è accaduto tutto ciò? In un’epoca di tramonto dell’egemonia statunitense e l’alba di un nuovo ordine mondiale a trazione cinese, io credo che la prima vittoria nel gioco geopolitico sia stata vinta dagli USA, perché la Cina si è seduta al tavolo che loro, gli Statunitensi, hanno istituito. Un chiaro esempio di questa ipotesi si trova al livello ideologico della sfida, che si riassume nell’esistenza del Sogno.

L’egemonia USA nel ‘900 ha diffuso a livello globale la promessa dell’American dream. È il Sogno del self-made man, colui che si è fatto da sé: un sogno di uguaglianza, democrazia e opportunità per tutti. Oggi, un altro Sogno si affaccia al mondo, il China dream (zhongguo meng): è il desiderio di una società prospera e armoniosa, come l’ha teorizzata Confucio ma promossa dal motore del socialismo a matrice cinese. Il Partito Comunista ha posto il proprio Sogno come radicale alternativa a quello americano, criticato come materialista e immorale. Entrambi i Sogni sono miti, cioè simboli; o, come ha scritto Ernst Cassirer, forme simboliche. Un simbolo è un mezzo attraverso cui gli uomini osservano la realtà.

Cassirer elenca tre forme simboliche attraverso cui strutturare e ordinare il mondo – esattamente come funzionavano le categorie kantiane –: il mito, il linguaggio, la scienza. Il mito dà vita a significati ed esperienze che esistono in virtù della sua stessa esistenza. La prospettiva sulla realtà data dalle forme simboliche coincide con la ‘visione del mondo’ di un individuo o di un popolo. All’interno della visione del mondo ci sono teorie, fedi e abitudini proprie di una civiltà che detengono valore e significato solo all’interno di quella peculiare prospettiva, proprio come le regole di un gioco che non hanno senso all’esterno della dimensione ludica. Una visione del mondo è strettamente connessa con il linguaggio usato dal popolo di cui è espressione. Questa incommensurabilità, che ricorda quella tra paradigmi scientifici proposta da Thomas Kuhn, richiama la teoria di von Humboldt della relatività linguistica: parlare una lingua significa vedere il mondo in un certo modo; due persone che parlano lingue diverse hanno un differente approccio alla realtà. Quando impariamo una lingua nuova, è necessaria l’immersione nella cultura di un popolo per poter veramente conoscere il suo idioma. In questo senso possiamo intendere, io credo, i “giochi linguistici” di Ludwig Wittgenstein.

La partita ideologica tra USA e Cina, quindi, è (anche) un gioco linguistico. Su quali regole? È qui che io pongo la vittoria statunitense: le regole sono quelle poste da Washington. Questo è chiaro da diversi punti di vista. Il primo è a livello terminologico. Il Partito Comunista Cinese è ricorso a un Sogno alternativo per contrastare l’egemonia USA, ma così facendo è entrato nel “recinto” creato dagli USA stessi. Il riferimento alla mitologia statunitense è chiaro nella scelta del termine onirico. Scelta inevitabile, forse, ma che mette i secondi in posizione di forza (sempre a livello ideologico, non stiamo considerando il livello economico).

Il secondo punto riguarda il messaggio lanciato da Xi Jinping a Davos nel 2017 e la retorica legata alla Nuova Via della Seta. Quest’ultima richiama un passato glorioso della storia cinese, un periodo in cui l’Armonia insegnata da Confucio era realtà. Ma è anche il binario su cui dovrebbe viaggiare il China dream per diffondere l’ideologia della Repubblica Popolare. Un progetto globale e globalizzato, mirante a promuovere la multilateralità e la cooperazione economica messa a rischio dal protezionismo del Presidente Trump. Tuttavia, almeno per ora, la Nuova Via della Seta risulta essere solo un mezzo per la diffusione del capitale cinese nel resto del mondo, a cui sono legate discutibili pratiche di investimento. Questa è prova dell’appiattimento del modello cinese su quello statunitense, perlomeno all’estero – globalizzazione e materialismo – a cui il China dream dovrebbe porsi come alternativo. Giocare secondo le regole degli USA significa giocare una partita le cui regole sono fatte per non farla mai finire.

In ogni gioco, le regole sono fondamentali. Ancora più fondamentale è capire chi le ha create. Una vera alternativa al modello americano capitalista, di cui l’American dream è l’espressione mitica, non è rappresentata dal Sogno cinese, che si è dovuto adattare al primo per poterlo contrastare. Così facendo, infatti, ha adottato le sue regole, che, come abbiamo visto, sono disegnate perché il gioco non finisca. Il tramonto di un’ideologia avviene quando le regole cambiano, ma questo – mi sembra – non è il caso del China dream

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