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La legge sul divorzio: il contesto culturale ed il ruolo dei movimenti sociali

1 Dicembre 2020

Il 1° dicembre 1970 venne introdotta la legge sul divorzio, aprendo alla possibilità per i coniugi di sciogliere i propri vincoli matrimoniali. L’appello a questa legge resta, ancora oggi, un potente strumento a disposizione della donna per affrancarsi dai ruoli di dipendenza e passività che troppo spesso si instaurano all’interno del nucleo familiare. Sono passati cinquant’anni da quel giorno, ma per una piena parità di genere c’è ancora molto su cui lavorare.

Prima della legge

A partire dall’Unità d’Italia, ci furono diversi disegni di legge che tentarono di istituire il divorzio, i quali tuttavia non vennero mai approvati a causa della fervida opposizione dei cattolici. Successivamente, con il fascismo e l’esaltazione della famiglia tradizionale di cui si faceva portavoce l’ideologia di regime, vennero messe a tacere le richieste in tal senso. Mussolini aveva siglato i Patti Lateranensi tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica, attraverso cui ci si impegnava a mantenere illeso il principio di indissolubilità del matrimonio – uno dei pilastri su cui si erge questo sacramento. Per la Chiesa, infatti, il divorzio non è ammissibile in nessun caso.

Questo precetto venne ribadito ulteriormente quando il dibattito sul divorzio si fece più acceso: nell’enciclica del 1968 Humanae Vitae, Paolo VI ribadiva la necessità di rimanere fedeli al proprio consorte sino alla morte, schierandosi apertamente contro il divorzio. Il Papa si mostrava ben consapevole dei cambiamenti sociali che ponevano in discussione la sacralità del matrimonio, ma sosteneva che si dovesse mettere da parte l’egoismo per rispettare i doveri verso Dio, ristabilendo la corretta gerarchia di valori.

Eppure, la concezione cattolica del matrimonio era ormai in crisi a causa della controcultura che scorreva sotterranea e che emerse in modo dirompente proprio nel Sessantotto.

La liberazione sessuale

Con la seconda ondata femminista, si criticò aspramente la struttura matrimoniale, smascherando quell’immagine idilliaca con la quale si soleva presentare la vita coniugale. Negli Stati Uniti, Valerie Solanas denunciava con il suo Manifesto SCUM il sistema patriarcale, entro il quale la donna è vittima della violenza virile, proponendo come soluzione l’astinenza sessuale, in modo da sgretolare la piramide di potere nella società.

Una critica verso l’esaltazione dell’unione matrimoniale tra uomo e donna venne mossa anche da Germaine Greer: andando contro la concezione cristiana della natura, asseriva che l’adulterio e la fornicazione fossero di gran lunga più vicini ai bisogni biologici dell’essere umano, ma veniamo ingannati quando ci viene detto che soltanto il matrimonio può condurre al vero amore. Insomma, due pratiche opposte, quelle di Solanas e Greer, ma che condividono la volontà di spodestare il matrimonio dalla posizione privilegiata in cui è stato posto dalla società.

Le istanze rivoluzionarie attecchirono anche in Italia, che vide la nascita nel 1970 del gruppo femminista Rivolta Femminile, nel cui manifesto figurava l’opposizione al matrimonio e la critica alla società di stampo patriarcale. Il collettivo si impegnò nell’affermare la liceità del divorzio, definito come «un innesto di matrimoni da cui l’istituzione esce rafforzata». Già dal 1965 i Radicali si stavano muovendo per l’introduzione di una legge sul divorzio, sensibilizzando l’opinione pubblica su un tema così delicato, e i gruppi femministi perorarono questa causa.

L’approvazione della legge

Malgrado l’opposizione da parte dei partiti religiosamente più orientati, la legge n. 898 (Fortuna-Baslini) venne introdotta nell’ordinamento giuridico il 1° dicembre 1970. Subito però ci fu una campagna per abrogarla tramite referendum, che vedeva schierati intellettuali di primissimo ordine – cui faceva sponda, all’interno della DC, Amintore Fanfani. La votazione avvenne il 12 maggio 1974 e, con una percentuale vicina al 60%, vinse il no per l’abrogazione, determinando una dura sconfitta politica per Fanfani, incredulo che i tempi fossero cambiati così repentinamente.

La situazione odierna

Fanfani era preoccupato che dopo il divorzio sarebbero potuti arrivare l’aborto e il matrimonio tra omosessuali. Effettivamente, nel 1978 venne promulgata la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza e dal 2016 vengono riconosciute anche le unioni civili tra coppie di persone dello stesso sesso.

Nella speranza che la profezia di Fanfani si avveri completamente, bisogna fare il punto della situazione e delineare il percorso da intraprendere nel prossimo futuro. Innanzi tutto, il divorzio per la donna rimane ancora oggi un mezzo per affrancarsi dal soggiogamento del marito. Per quanto quindi ci sia stata una vittoria giuridica con l’approvazione di questo istituto, non ce n’è stata ancora una sul fronte culturale. Il patriarcato è ancora il cancro di questa società e i femminicidi registrano numeri elevatissimi.

Pochi giorni fa, il 25 novembre, si celebrava la giornata per l’eliminazione della violenza della donna e – tra le tante iniziative – molte pagine social hanno pubblicato messaggi anonimi di ragazze che hanno subito molestie.

L’attivista femminista Carol Hanisch scriveva che «il personale è politico»: anche oggi, attraverso la semplice discussione si può sensibilizzare e far comprendere quanto sia urgente la battaglia contro la violenza di genere. Per questo motivo è dunque un imperativo quello di introdurre l’educazione sessuale e sentimentale nelle scuole, per imparare a vivere rispettosamente il rapporto matrimoniale e fare in modo che il divorzio venga accettato senza che debba finire in tragedia nelle prime pagine dei giornali.

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