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A 26 anni dall’assassinio di Paolo Borsellino. Dove si annida oggi Cosa Nostra?

20 Luglio 2018

Ricorrono in questi giorni i ventisei anni dalla strage di Via D’Amelio in cui persero la vita Paolo Borsellino e i componenti della sua scorta. Una strage compiuta con metodi da guerra nel centro di Palermo, trasformata per un giorno nell’epicentro di un conflitto armato.

Vorremmo poter dire che a distanza di ben ventisei anni questo conflitto si è placato, e che per tutte le vittime sia stata fatta giustizia. Purtroppo non è così.

La guerra in Sicilia si è solo trasformata. Se vent’anni fa si combatteva a colpi di bombe e guerriglia urbana, adesso la guerra viene fatta non con le armi, ma con gli affari, con gli appalti, con il controllo degli investimenti in settori strategici della produzione nazionale.

Se adesso i boss non hanno più la forma di “Totò u curtu”, è perché sono stati rimpiazzati dai Messina-Denaro, dagli Ercolano-Santapaola e da altri ‘uomini d’onore’ vicini al mondo imprenditoriale che utilizzano metodi più fini, più subdoli e forse per questo ancor più dannosi per la collettività. Del resto, Giovanni Falcone lo sapeva bene: “seguite i soldi e troverete la Mafia” diceva.

E allora dove si annida oggi la mafia? Non è possibile dare una risposta univoca a questa domanda. Perché se la moderna Cosa Nostra parte certamente dai quartieri disagiati e abbandonati dallo Stato (dove essa ancora prospera), Cosa Nostra ha messo radici profonde in una parte collusa dell’imprenditoria siciliana.

Sciascia già lo aveva capito, ed in pieni anni 60 sosteneva che la mafia non fosse nient’altro che un braccio armato della borghesia siciliana per mantenere l’isola in un gattopardesco e perenne lo status-quo.
Sciascia scriveva il suo ‘Giorno della civetta’ nel 68, e parlava di questo intreccio di cui solo in tempi più recenti abbiamo avuto una prova tangibile.

Una prova tangibile di questi intrecci è stata – ieri – quella di Pippo Fava.
Il giornalista che nell’84 veniva assassinato in pieno centro a Catania, dopo aver denunciato le collusioni tra i famosi “quattro cavalieri del lavoro” (imprenditori attivi nel settore edile) ed il clan di Nitto Santapaola.

Una prova tangibile di questi intrecci è – oggi – quella delle indagini della procura di Catania che hanno portato all’arresto di Vincenzo Ercolano (nipote di Nitto u’ Licantropo).  Uomo d’onore che nella Cosa Nostra del 2018 veste un doppio abito: quello di imprenditore – re del trasporto su gomma – e quello capomafia; secondo la procura, capace per questo di imporre prezzi da monopolio nel settore di sua competenza.

Di prove tangibili ce ne sarebbero ancora molte e probabilmente ce ne saranno. Ed proprio alla luce di tutte queste prove che, se potessimo rivisitare la frase di Giovanni Falcone, oggi vorremmo che la mafia non si trova seguendo i soldi, ma che è essa stessa il denaro; se per denaro intendiamo quella parte della classe imprenditoriale siciliana che accosta agli affari il metodo e l’intimidazione mafiosa.

Certo la rete degli intrecci non si ferma qui ed oggi noi  -nel ricordare Paolo Borsellino – non possiamo che pensare ad un’altra forma di patto scellerato fra mafia e Stato. A ventisei anni di distanza dalla morte del giudice istruttore, ancora nell’ultima vicenda giudiziaria (Borsellino quater) si parla di depistaggio, di strage di Stato. Spetterà alla magistratura chiarire gli intrecci che si sono verificati e spiegare – come ha detto Claudio Fava, figlio di Pippo e Presidente della Commissione Antimafia Siciliana – quelle curiose coincidenze cui la sentenza di Caltanissetta ha dato rilievo.

Bisognerà spiegare perché il ROS sapeva dell’arrivo del tritolo destinato a Via D’Amelio non facendo nulla; bisognerà spiegare perché i magistrati non convocarono Borsellino dopo Capaci, seppur questi avesse fatto presente di dover rilasciare delle importanti dichiarazioni. Bisognerà cavare anche questo bandolo di una matassa già troppo fitta, ma di cui – possiamo dirlo con certezza – la matrice prima è sempre il denaro. Il denaro che ha comprato (e compra) chi incarnava lo Stato, il denaro che in Sicilia riesce ancora a comperare il potere, il denaro sporco che si annida nell’impresa siciliana.

E allora oggi proprio per questo, a più di vent’anni di distanza, Senso Comune chiede ancora verità per Paolo Borsellino e per tutte le vittime della mafia. Verità per loro e pace per la Sicilia.

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