Cultura | Teoria

Leonesse e Volpi. Strategie politiche femministe

26 Ottobre 2018

Pubblichiamo qui la traduzione dell’Introduzione al libro da poco uscito “Leonas y zorras. Estrategias politicas feministas” (Madrid, Catarata, 2018), della filosofa spagnola Clara Serra Sánchez, coordinatrice nei primi anni di Podemos dell’area di lavoro su “Eguaglianza, Femminismi e sessualità” del partito spagnolo.

Secondo la Genesi, Dio creò il mondo in modo imperativo, e cioè attraverso ordini che, non appena espressi, prendevano immediatamente forma nel mondo. E Dio disse “sia fatta la luce”. E la luce fu. Nel caso divino, dire è fare, verbalizzare è, ipso facto, produrre la realtà. Si può dire che questo sia il vantaggio di chi, come Dio, può contare sulla capacità di creare il mondo. Noi mortali, che ci troviamo sempre in un mondo già creato o prodotto, non possiamo creare la realtà, ma possiamo fare qualcosa di molto più modesto, per nulla disprezzabile, e cioè trasformarla. E, cosa altrettanto importante, possiamo trasformarla in un senso emancipatore, possiamo farla progredire. Se nel caso di Dio la parola e l’azione coincidono, nel nostro caso sono separate. Se vogliamo imporre una forma al reale, se vogliamo che le nostre idee prendano forma, ci vediamo inevitabilmente obbligati a coprire questa distanza, e non ci sono scorciatoie possibili. Noi umani, a differenza di Dio, non possiamo risparmiarci il cammino che separa il sapere (o dire) come le cose devono essere, dalla loro effettiva realizzazione. Percorrere la distanza che separa questi due punti si potrebbe chiamare, fra le altre cose, politica. E aggiungerei che potremmo chiamare politica non metafisica il compito di affrontare quel cammino con la certezza che non sarà mai percorso del tutto, cioè che quella distanza è, in ultima istanza, insuperabile. La finitudine che ci definisce – a noi che non siamo Dio – implica entrambe le cose: che abbiamo un problema da risolvere (il mondo così com’è e il mondo che desideriamo sono separati da un taglio che dobbiamo ricucire); e che, per di più, non c’è una soluzione finale a questo problema (quel taglio non si suturerà mai definitivamente).

La politica è, perciò, un compito umano. Ed è tanto importante alzare lo sguardo e guardare lontano per vedere dove vogliamo andare, quanto imprescindibile conoscere il suolo che calpestiamo, da dove partiamo e quali limitazioni abbiamo. La politica deve volere tutto, ma, proprio per questa ragione, deve anche sapere che non può tutto. Una politica attenta alla finitudine è, per quanto sembri paradossale, quella che alla fine ci permette di arrivare più lontano. La teoria femminista è, senza ignorare le sue grandi differenze, una grande riflessione sulla finitudine, un modo per riportare con i piedi per terra il pensiero e salvarlo dai deliri di grandezza della mascolinità. E ciò fa sì che il femminismo abbia uno sguardo speciale e determinante da apportare alla politica. Ma la realtà, nonostante la centralità del femminismo nel pensiero politico contemporaneo, continua ad essere quella che è. La politica pratica, i partiti e le organizzazioni continuano ad essere un terreno mascolinizzato dal quale le donne sono escluse. 

Questo libro è il risultato delle esperienze politiche che in molte abbiamo condiviso durante un periodo ormai storico per il nostro paese: la stagione politica che si aprì con il 15M [il movimento dei cosiddetti Indignados del 2011, n.d.t.] e la successiva irruzione di Podemos e di altre forze elettorali, che hanno portato molti e molte di noi nelle istituzioni. Durante i primi anni di Podemos, ho coordinato l’Area di Uguaglianza, Femminismi e Sessualità assieme ad una squadra di donne che mi accompagnarono in quel compito, e con le quali ho riflettuto su buona parte delle idee che sono raccolte/che si sviluppano in questo libro. Quel convulso periodo politico è stato per noi un tempo accelerato di grande apprendistato. Abbiamo dovuto affrontare non poche difficoltà per essere femministe in un partito politico come Podemos. Perché è difficile essere donna in politica, specialmente in un partito guidato, in tutti i livelli, da uomini. Perché, inoltre, è difficile essere femminista in un partito le cui dinamiche, come quelle di tutti i partiti, devono essere costantemente contrastate e corrette affinché la disuguaglianza non si rafforzi. Ma, per di più, perché è complicato essere femminista in un partito nato con una fortissima coscienza strategica. Podemos voleva essere uno strumento di assalto rapido al potere per prendere le istituzioni, e cercava di convincere la sinistra che bisognava adottare un’attitudine strumentale e pragmatica per approfittare dello spazio di opportunità apertosi nel nostro paese [dopo il 15M, n.d.t.]. Questo libro parte, fra le altre cose, da un’esperienza: aver visto come, specialmente quando la politica si concepisce in chiave strategica, noi – donne e femministe – rimaniamo fuori gioco.

La nostra posizione ci obbligava a lavorare su due fronti. In primo luogo, dovevamo rifuggire l’immagine nella quale gli uomini di sinistra rinchiudono permanentemente le femministe: necessarie compagne di viaggio che ci sono sempre, che si dedicano alle loro cose, che hanno molto chiari i loro principi e i loro ideali, ma che non hanno molto da apportare nel momento in cui bisogna pensare a come prendere il potere. Se c’è qualcosa che definisce, più chiaramente di ogni altra, la nostra esclusione dal campo della politica è che non siamo presenti, né ci si aspetta che lo siamo, quando bisogna pensare a come vincere. Per questo, parte del nostro lavoro è stato dimostrare come il femminismo non fosse solo una questione etica, ma soprattutto una scommessa vincente per un partito che puntava a governare. Qualche anno dopo l’inizio di questo ciclo politico, i suoi esempi di maggior successo sono incarnati da donne politiche che oggi governano a livello regionale o municipale e che sono, per di più, donne femministe [su tutte, le sindache di Madrid e Barcellona, Manuela Carmena e Ada Colau, n.d.t.].

In secondo luogo, si trattava di discutere con alcune compagne femministe e cercare di convincerle della necessità di fare femminismo in chiave strategica, proprio per superare la nostra esclusione in quel terreno e dimostrare che anche il femminismo sapeva contendere il potere. Molte delle riflessioni di questo libro sono dedicate, perciò, a spiegare che il femminismo della finitudine deve confrontarsi con la politica con la profonda consapevolezza che le battaglie non si combattono tutte nello stesso momento, ma una alla volta; che la politica esige i suoi tempi e implica a volte giri larghi, e che per cambiare la realtà non c’è niente di peggio che voltarle le spalle, invece di partire da essa. Le più nobili pretese di radicalità e rottura con l’ordine esistente possono molte volte rappresentare la maniera più efficace per consolidare quell’ordine e assicurarne la permanenza. Un femminismo che faccia i conti con la nostra finitudine sa che per rendere femminista il mondo non basta affermare la propria volontà che il mondo sia femminista, come farebbe Dio. La nostra parola, le nostre convinzioni, la nostra ragione e il nostro logos non si convertono da soli in carne. Noi, le mortali, dobbiamo impegnarci con cura e pazienza per produrle nel mondo. E la nostra azione politica sarà efficace e ci avvicinerà ai nostri obiettivi soltanto con la consapevolezza che il cammino non sarà diritto e che bisognerà fare giri larghi, che bisogna essere strategiche e mettere in gioco tattiche, che dobbiamo adattarci alle circostanze e ai momenti e non aggrapparci a regole prestabilite, che dobbiamo fare un uso politico e non morale della nostra identità.

Machiavelli, il consigliere politico più famoso di tutti i tempi, afferma in un celebre passaggio che principi e governanti devono saper imitare, fra tutti gli animali, il leone e la volpe, poiché le loro rispettive virtù sono imprescindibili per la politica. Che succede tuttavia quando anche noi donne – dimenticate da Machiavelli, dalla politica e dalla storia – reclamiamo di poter essere leonesse e volpi? [in spagnolo “zorra” significa “volpe”, ma in senso dispregiativo anche “puttana”, n.d.t.] Il fatto che il titolo di questo libro contenga qualcosa di scandaloso e scomodo ha a che fare direttamente con l’esclusione delle donne dalla sfera pubblica e dall’esercizio della politica, i cui pilastri – la forza del leone e la persuasione della volpe – sono rimasti fuori dalla nostra portata. La naturalizzazione della forza come virtù mascolina e la stigmatizzazione della seduzione come un pericoloso vizio femminile – che non possiamo nemmeno nominare se non facendo ricorso a parole scandalose – sono due strade per negare l’accesso delle donne al potere politico. Questo libro vuole rendere visibile quell’esclusione e contribuire a combatterla.

In queste pagine c’è anche una scommessa su un femminismo aperto ed inclusivo. Credo infatti che il femminismo che dobbiamo praticare dev’essere estremamente generoso, pensato per tutte coloro che mancano e anche, naturalmente, per tutti coloro che mancano: e cioè, proprio per tutte quelle persone che ancora non si considerano femministe e, specialmente, per tutte quelle donne, giovani e anziane, che hanno subìto gli effetti più devastanti della crisi economica e delle politiche di saccheggio del settore pubblico, per tutte quelle che hanno patito più di chiunque altro le privatizzazioni dei servizi pubblici o la precarizzazione del lavoro. Sono loro le nostre compagne di viaggio e senza di loro non andiamo da nessuna parte. Nonostante il fatto che il femminismo stia facendo passi da gigante e sia capace di connettersi con un numero sempre crescente di donne nel nostro paese, sono ancora tantissime quelle che mancano. Non bisogna mai smettere di pensare a quelle che mancano, a come interpellarle, come chiamarle, come invitarle a far parte del nostro futuro. Dobbiamo praticare un femminismo rivolto all’esterno, desideroso di farsi capire, consapevole del modo in cui dobbiamo parlare per risultare convincenti, con strategie differenti. Se vogliamo che il femminismo sia popolare e non rimanga circoscritto ad una minoranza intellettuale, culturale ed economica, è fondamentale renderlo accessibile a tutte le donne: non dimenticarsi mai proprio di coloro che non sono come noi, non parlano come noi, non hanno letto quello che noi altre abbiamo letto. Solo un femminismo non pensato per noi stesse, che già siamo femministe, sarà capace di continuare ad ampliare il nostro numero.

E così questo libro è una scommessa su un femminismo strategico, meticcio e impuro, che rivendichi ciò che più di ogni altra cosa c’è stato negato, e che porti alla luce le esclusioni che hanno bloccato il nostro accesso alla politica. Un femminismo che dimostri che il femminismo non solo sa vincere, ma che può convertirsi in una forza popolare e trasversale che crei i presupposti per una grande opportunità di cambio politico e trasformazione sociale per i tempi a venire. Un femminismo non pensato al servizio di noi stesse e della nostra identità femminista, ma che si concepisca come uno strumento al servizio di qualcos’altro e che si diriga proprio a tutte quelle che mancano e con le quali vogliamo costruire un paese e un mondo migliore. Credo fermamente che questo sia il femminismo più coraggioso, radicale e trasformatore che oggigiorno possiamo praticare. 

Da “Publico”, 10. 4. 2018. Traduzione a cura di Marcello Gisondi

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