Sia all’interno di Senso Comune che nella galassia dei movimenti genericamente affini si sta discutendo su quale debba essere l’identità di un partito egemone e aggregante (quindi non settario) alternativo alla prospettiva liberale e a quella nazionalista. A tal proposito, è opportuno riflettere su quali siano le strade percorribili per realizzare tale scopo. È possibile individuarne principalmente tre:
1. L’aggregazione del popolo tramite leadership: il partito si costituisce e si allarga grazie all’impatto mediatico del proprio leader, che assume sulla sua persona i caratteri del partito stesso. Tale prospettiva, anche in caso di presenza di un leader carismatico e coinvolgente (situazione niente affatto comune), mostra in ogni caso il fianco a un’intrinseca debolezza che ne segna inevitabilmente il destino: ovvero la sovrapposizione uomo-partito. In quest’ottica le sorti del partito dipendono in tutto e per tutto dal successo personale del leader (e del suo cerchio magico), il quale se, da un lato, ha la possibilità di gonfiare la bolla elettorale del partito al momento della sua ascesa, tuttavia, dall’altro, ne può causare altrettanto rapidamente il declino. Se l’obiettivo di Senso Comune è quello di contribuire a dare vita a un partito egemone e duraturo e non a un’effimera bolla elettorale, è evidente che l’aggregazione del popolo tramite leadership può facilmente fallire sul medio-lungo periodo e generare nell’elettorato disillusione, disaffezione e persino ostilità.
2. L’aggregazione del popolo tramite i simboli dell’ideologia: il partito si struttura attorno a simboli e parole riconosciuti come “sacri”, cioè intoccabili, dal popolo di riferimento. Tale prospettiva, molto efficace nel corso della stabilizzazione dei partiti-massa del Novecento, risulta oggi piuttosto futile, sia perché è priva di un popolo già ideologizzato, sia perché la “caduta degli dèi” di fine Novecento ha travolto i simboli e le parole del passato, rendendone l’utilizzo un mero feticcio per gruppi ristretti, del tutti incapaci di esercitare egemonia. In questo scenario vanno inseriti anche i termini “destra” e “sinistra”, che simbolicamente oggi non possono essere aggreganti al di fuori di cerchie già delimitate e autoreferenziali. Il fallimento costante delle aggregazioni elettoralistiche “di sinistra” lo dimostra ampiamente.
3. L’aggregazione del popolo tramite risposte specifiche alle esigenze concrete: il partito si struttura “funzionalmente” attorno a soluzioni dettagliate e precise di problemi concreti (ad esempio: disoccupazione, diritto alla casa, servizi pubblici, migrazioni, inquinamento, …). Il popolo, in questo caso, si aggrega non attorno a una figura carismatica e taumaturgica (modello 1), né attorno a simboli e ideologie (modello 2), ma attorno alla dinamica “problema-soluzione”.
Il partito, quindi, si sviluppa ordinatamente attraverso le seguenti fasi, il cui rispetto è indispensabile per non cadere nella sterile successione di inutili “campagne d’azione” (tipiche del “movimentismo”) che risulterebbero slegate da una visione complessiva e organica che un partito deve avere:
a) riconoscimento e selezione delle reali esigenze della massa, ovvero l’ampia classe costituita dal proletariato e dal ceto medio impoverito;
b) creazione di gruppi referenziati con lo scopo di individuare le soluzioni alle esigenze; tali gruppi hanno il compito di produrre un documento d’azione dettagliato, intelligibile e chiaro (Piano Operativo);
c) condivisione del Piano Operativo con gli attivisti del partito;
d) lancio del partito su larga scala con la raccolta delle adesioni in nome del Piano Operativo (utilizzo a tale scopo della piattaforma online e dei gruppi locali);
e) ricerca (anche spregiudicata) di spazi sui mezzi di comunicazione per promuovere il Piano Operativo.
In questo modo, il partito non sarà costituito dalla corte dei miracoli del leader, né dall’aggregato ideologico incapace di andare oltre l’accrocco di sigle, liste e grupponi elettorali. Il partito risultante, invece, sarà un soggetto “funzionale”, la cui identità deriverà dalla condivisione di esigenze e di soluzioni, al di là delle bandiere, dei nomi e dei leader.
Solo in questo modo si possono superare le fallacie insite nel modello leaderistico e in quello ideologico, aprendo le porte a un partito davvero aggregante, in grado di condurre la sua battaglia sempre e soltanto nella realtà storica vissuta dal popolo a cui si rivolge.
Gli avversari, se privi di un Piano Operativo realmente alternativo, saranno costretti a rifugiarsi dietro al vessillo del grande capo (destinato comunque a cedere, nonostante un possibile iniziale successo) o alle formule ideologiche a cui credono sempre meno persone, lasciando al nostro partito spazi d’azione e di consenso sempre più ampi.