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Agricoltura siciliana: criticità e soluzioni

13 Dicembre 2017

Sono passati due mesi dalle elezioni regionali siciliane, ne è uscito vincitore il centrodestra, ma molto probabilmente sconfitto il popolo siciliano, che si ritrova un presidente eletto da una minoranza. Una cosa è certa, la Sicilia continuerà nel processo di “disamministrazione” e distruzione intrapreso dai governi Crocetta, Lombardo e Cuffaro. 

Tra questi governi c’è sempre stato, per l’appunto, una sorta di comune denominatore che in questo caso è la passionale ed irrefrenabile voglia di distruggere ciò che fino ad allora reggeva anche abbastanza bene. Questo fenomeno appare lapalissiano nei settori chiave della nostra economia come l’agricoltura; da poco è stato reso noto il rapporto del CORERAS sulla filiera agricola nel 2017.

I politicanti, più volte, per nascondere la propria inettitudine e per cercare di deviare le proprie responsabilità accusano gli agricoltori di avere poca “inventiva” o di essere poco “dinamici”. Queste accuse vengono smentite ogni qualvolta escono i dati; secondo il rapporto Coreras, la Sicilia è la prima regione italiana per produzione biologica sia per numero di operatori (11.326 aziende pari al 18,9% del dato nazionale) che per SAU (345.071 Ha pari al 23,1% del dato nazionale). 

Dinanzi all’oggettività dei dati è d’obbligo porsi delle domande, probabilmente il problema della nostra agricoltura non è la creatività degli agricoltori, bensì la mancanza di una linea politica-economica agricola. Gli agricoltori sono stati lasciati da soli, allo sbaraglio, costretti a una lotta per la sopravvivenza.

La politica siciliana per garantire lo status quo e la propria tela di affari non si è permessa di sbilanciarsi su un modello, cosa che alla fine ha garantito l’inevitabile distruzione del settore. Alla Sicilia serve una classe dirigente con senso dello Stato e coraggiosa, che abbia la capacità di intraprendere uno slancio ideale nella decisione di un modello economico da seguire in determinati settori e camminare caparbiamente verso quell’indirizzo. 

Osservando sempre i dati emergono degli altri fattori di cui avevo parlato in un mio precedente articolo: la Sicilia è la regione italiana che possiede la maggiore Superficie Agricola Utilizzata (SAU), pari ad 1.387.520,77 Ha che equivalgono al 10,8% della SAU nazionale. In termini di numero di aziende agricole è seconda solo alla Puglia, annoverando 219.677 aziende che equivalgono al 13,6% del dato nazionale; la dimensione aziendale media è di 6,3 Ha.

Questi dati ci forniscono un quadro alquanto chiaro: abbiamo una grande capacità produttiva data dalla SAU, ma il grandissimo numero di piccole aziende e le loro ridotte dimensioni si potrebbe dire che ci “tagliano” le gambe. In Emilia-Romagna, per via anche della tradizione politica solidaristica, la classe politica ha avuto il coraggio e la brillantezza di dare un chiaro indirizzo economico verso la cooperazione che ha avuto diverse problematiche, ma che mantiene il sistema solidamente in piedi.

Il problema delle frammentazione della terre diventa abnorme nella seconda fase del processo economico che sta nel passaggio del prodotto dal produttore alla GDO (Grande Distribuzione Organizzata). Avere una produzione limitata e non organizzata sbilancia il rapporto di forze tra i due soggetti economici nei confronti della GDO che si trova su di un piano di superiorità, poiché può imporre il proprio prezzo ed in caso di rifiuto può andare da un altro produttore con un prezzo solitamente anche inferiore.

In un sistema dove la GDO assume un potere spropositato, l’unico modello applicabile è incentivare la cooperazione e l’associazionismo superando le vecchie forme di aggregazione fallite per rapporti malsani con il mondo politico o per un estremo e becero individualismo.

Un territorio, in particolare quello agrigentino, dove troviamo moltissime eccellenze tra cui l’uva bianca di Canicattì, le arance del Riberese o il melone Cantalupo licatese. La produzione del Cantalupo è frammentata e diffusa per la maggior parte nel territorio licatese, ma anche tra Ravanusa, Butera e Palma di Montechiaro; un prodotto come il melone Cantalupo può dare un riscontro economico nel momento in cui si ha la disponibilità di una quantità importante dello stesso.

Per questo motivo perchè non ipotizzare un consorzio intercomunale che gestisca la produzione e poi la rivendita del prodotto alla GDO, in modo da poter rovesciare i rapporti di forza nei mercati? Ci sono diverse proposte tra cui questa appena citata, un altro punto fondamentale è sicuramente il rifacimento della rete infrastrutturale regionale per consentire un maggiore e più rapido trasporto delle merci. La politica deve tornare ad essere Politica, tutto ciò può avvenire soltanto tramite un rinnovamento della classe dirigente e sicuramente il ritrovamento di un Senso Comune. 

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