Politica

Bibliometria e barbarie. La ricerca universitaria tra tagli e finta meritocrazia

22 Ottobre 2019

Un chiarimento su una recente indagine sul mondo della ricerca, presentata dai media italiani in modo parziale o completamente reinterpretato, ma anche un’occasione per evidenziare le distorsioni apportate dall’adottamento irrazionale di indici quantitativi nella valutazione qualitativa del merito scientifico attraverso la riforma Gelmini. Il tutto come appello a proteggere il ruolo dell’Istruzione e della Ricerca ai tempi del pensiero unico meritocratico, competitivo e liberista.

“Il taglio di fondi inflitto al nostro sistema universitario, con una scure del 21% dei fondi in 10 anni, può favorire una maggiore collaborazione fra ricercatori, creando un network virtuoso di lavori in sinergia e, in alcuni casi, un arricchimento disciplinare”. Così viene scritto sul Sole 24 Ore dello scorso mese [1] nel riassumere e recensire un recente lavoro di ricerca pubblicato sulla piattaforma open source della Public Library of Science, PLOS ONE [2].  Su svariate piattaforme mediatiche sono girate le notizie sulla “autoreferenzialità” della ricerca italiana, sul “doping citazionale” (Corriere, Fatto Quotidiano, Wired tra i principali).  A meno di una lettura approfondita, gli articoli propongono, con il nome e con i contenuti, una lettura impietosa e colpevolizzante della ricerca italiana, la quale dalla riforma Berlinguer del 1997 ha subito un continuo processo di riduzione degli investimenti pubblici e una progressiva introduzione di logiche meritocratiche di matrice aziendale.

Le varie reazioni sono la testimonianza dell’alto tasso di degrado dei canali mediatici italiani: da un lato si osserva il richiamo alla “notizia scandalo” per una disperata ricerca di audience, oracolo e guida dei giornali, dall’altro, come nel caso del Sole, reinterpretazioni che sfociano nella distorsione e falsificazione dei contenuti per veicolare messaggi propri, magari in completo contrasto con la fonte originaria di informazione. Una dinamica che non suonerebbe nuova a Winston Smith, funzionario del Ministero della Verità in 1984 di Orwell. Facciamo chiarezza sulla questione da un punto di vista oggettivo, accompagnato da una successiva interpretazione politica.

Il lavoro (Citation gaming induced by bibliometric evaluation: a country-level comparative analysis [2]) parte dal recente dibattito che si sta sviluppando intorno ai criteri di valutazione “bibliometrici” che sono stati introdotti nel mondo della ricerca. Il dibattito è recente in quanto, dopo che il sistema è entrato a regime nelle ultime due decadi, solo negli ultimi anni  [3] si sono cominciate ad osservare delle conseguenze negative sulla ricerca scientifica stessa. Tanto per fare un esempio, uno degli indici di riferimento per i settori di ricerca bibliometrici è l’indice di Hirsch (‘h-index’) che è definito in base al numero di pubblicazioni e al numero di citazioni: se si hanno 4 lavori citati almeno 4 volte, h = 4 ; se si hanno 4 lavori citati 40 volte, h= 4 ; se si hanno 4000 lavori citati 4 volte, h è sempre 4.

Nella parte principale dell’articolo, viene svolta un’indagine relativa all’andamento nel tempo di un parametro creato ad hoc dagli autori (‘inwardness’, che si potrebbe tradurre autoreferenzialità) contenente informazioni sulle dinamiche, a livello nazionale e internazionale, di auto-citazione e di “gruppi di citazione”, ossia semplicemente insiemi di persone (se non di riviste scientifiche stesse) che fanno gioco di squadra per aumentare il numero di citazioni. La tesi scientifica dell’articolo è che si riscontra un generale innalzamento di questo parametro di inwardness, con particolare attenzione per il caso italiano che risulta essere il più significativo a livello europeo. Viene sottolineata la correlazione tutta italiana di questo primato con il fatto che tali parametri sono tenuti in conto per il reclutamento e l’avanzamento di carriera dei docenti e ricercatori, cosa che raramente succede nelle altre nazioni europee.

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Figura 1 Grafico dei risultati della ricerca. Si osserva il generale innalzamento e il primato statunitense [2]

La tesi ipotetica dell’articolo, partendo dall’emergere dei dati italiani nel periodo successivo alla riforma Gelmini del 2010 (L240/10 [4]), che ha dato forma e peso alla “bibliometria” nel sistema accademico per i settori scientifici con l’istituzione dell’Agenzia Nazionale Valutazione dell’Università e della Ricerca (ANVUR), è che se le conseguenze dell’adozione massiccia di misure bibliometriche di valutazione hanno generato queste distorsioni nella ricerca accademica, forse è necessario un ripensamento sull’utilizzo di questi indici in modo così rilevante.

L’analisi va più a fondo. Nell’articolo si evidenziano tre fondamentali mutamenti che essa introduce a livello ontologico nella ricerca, attraverso i cosiddetti “effetti costitutivi” [si veda 5 per una traduzione] che vanno a modificare il modo stesso di pensare la ricerca. Il primo è lo “spostamento degli obiettivi”. Nel momento in cui la propria carriera e/o autorevolezza scientifica è misurata in base agli indici, l’obiettivo primario della ricerca, soprattutto per i giovani ricercatori, non è l’argomento scientifico in sé, quanto piuttosto il conseguire il massimo punteggio in termini di indici. I fattori di massimizzazione sono il numero di articoli e il numero di citazioni. Da una parte quindi si induce il ricercatore a orientare il lavoro affinché sia il più possibile appetibile per numerose citazioni, ovviamente portandolo a favorire collaborazioni con i gruppi di ricerca forti e collegati con gruppi editoriali ben collocati nel mercato, di cui si è parlato all’inizio. Il secondo è “l’annullamento dei rischi”. A meno di ingenti finanziamenti, quindi probabilmente non pubblici, i gruppi di ricerca sono portati ad evitare i filoni di ricerca poco redditizi, lontani dal mainstream. Questo porta ad una settorializzazione crescente e ad un classismo interno tra i filoni della ricerca. Il terzo è “la riduzione degli impegni”. Le attività che non sono considerate nella definizione degli indici, subiscono inevitabilmente un drastico taglio del tempo che vi è impiegato. L’esempio più drammatico e con le conseguenze più gravi per la società è quello dell’insegnamento. Seguendo un paradosso etimologico nessun insegnante viene premiato, a livello di progressione di carriera, per la didattica. In Europa del Nord per esempio il peso dell’attività didattica è estremamente determinante per il reclutamento.

In questo vortice frenetico (definito in gergo “publish or perish”, pubblica o muori) si hanno effetti catastrofici sia a livello individuale che settoriale. Il ricercatore/professore è più una macchina produttiva di articoli che un vero e proprio ricercatore o scienziato. Qualsiasi progetto di ricerca che non sia realizzabile nel breve periodo, è ostacolato da questa dinamica. Inoltre, essendo i finanziamenti ripartiti in base agli indici, risultano anche delle penalizzazioni dei settori disciplinari con h-index strutturalmente inferiore, e di un ordine di grandezza, a settori anche molto affini. Per esempio, i ricercatori in Ingegneria non avranno mai gli indici come quelli di Fisica, che non li avranno mai come quelli in Biologia, risultando in una grottesca gerarchia culturale e non di certo nell’affabulato “network virtuoso di lavori in sinergia”. In questo quadro generale, sembra quindi saltare il pilastro della riforma Gelmini, ossia l’identificazione dell’innalzamento quantitativo degli indici con l’innalzamento qualitativo della ricerca scientifica, dando adito a un meccanismo che sacrifica in nome di una malriuscita meritocrazia l’effettivo valore della ricerca scientifica oltre che l’effettivo merito dei ricercatori.

Questa dinamica è presente in tutto il mondo scientifico e in Italia ha delle conseguenze più gravi. Ma, nei canali mediatici italiani viene risaltato il solo caso interno, additandolo come doping, che intrinsecamente richiama una condanna immorale. Dall’alto del loro scranno, hanno anche l’indecenza di condannare un mondo vivace e creativo come quello della ricerca per delle derive aberranti che sono state indotte da scelte politiche miopi, tra l’altro concentrandosi sulla parte più innocua di queste derive come suddividere in più articoli quello che originariamente era pensato come un lavoro unico, pubblicare uno stesso lavoro in versioni leggermente differenti, etc…

Con l’articolo del Sole poi, siamo di fronte ad un agghiacciante caso di disinformazione, ben oltre il limite dell’esposizione interpretata. Si tratta di scientifica mistificazione dei contenuti e dei risultati, presentando ai lettori (tra l’altro indubbiamente più numerosi per il Sole che per PLOS) una visione completamente distorta del ragionamento originale, ridefinita secondo i canoni dittatoriali del pensiero unico enunciato dalla frase in apertura. Un pensiero che è scientemente e colpevolmente fiero dei tagli alla spesa pubblica per l’istruzione. Un pensiero coerentemente inserito nel generale e totalizzante contesto liberista, al quale nessuna forza politica di maggioranza si sottrae e specialmente nessuna forza politica di matrice sociale. L’obiettivo è quello di veicolare attraverso questo mendace attacco un’ulteriore e inaccettabile giustificazione ai tagli per l’università e la ricerca, gestite dai ricercatori universitari italiani “colpevoli” di aver “drogato” il sistema delle citazioni, senza minimamente evidenziare che forse è questo sistema stesso ad avere delle malformazioni endemiche, le quali portano alla creazione di meccanismi di sopravvivenza.

Le piattaforme dell’istruzione, scolastica per la sua natura formativa delle nuove generazioni, universitaria per il suo impatto sia cognitivo che concreto sulla società e sull’ambiente, sono le più importanti per qualsiasi forza politica che voglia proporre un rinnovamento. L’inadeguatezza delle dinamiche valutative istituite dalle ultime riforme dell’istruzione deve essere una consapevolezza insita nella volontà di chi vuole cambiare il Paese. Così come deve esserlo il rigetto per le sedicenti pratiche meritocratiche che confondono la qualità e la quantità, inserite in un processo di feroce aggressione allo Stato e alle sue istituzioni che va avanti da almeno 30 anni a questa parte.

Riferimenti essenziali

[1] Articolo del Sole 24 Ore dell’11/09/2019 ad opera di Alberto Magnani

[2] Articolo di ricerca pubblicato su PLOS ONE ad opera di A.Baccini, G. De Nicolao, E. Petrovich

[3] Manifesto di Leiden del 22/04/2015: una ricerca pubblicata su Nature sugli effetti dell’introduzione della

      metrica nel mondo della ricerca

[4] Il testo della riforma Gelmini del 30/12/2010

[5] Un articolo pubblicato su ROARS, di supporto agli argomenti sviluppati

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